Amy Lee, una
delle donne più importanti del rock contemporaneo, ai più nota per essere
frontwoman degli Evanescence, torna
sul mercato digitale con un EP composto di quattro cover: Amy Lee – RECOVER, Vol. 1.
Sono passati ormai cinque lunghi anni dall’ultimo album
pubblicato con la sua band, ma tante cose sono successe nel frattempo: Amy ha
avuto un figlio e soprattutto ha intrapreso un’azione legale nei confronti
della sua (ex) casa discografica che l’ha in fine portata ad essere un’artista
del tutto indipendente. Questo le ha dato la possibilità di sperimentare e
dedicarsi a progetti alternativi agli Evanescence, tra cui quello di pubblicare,
due anni fa, un album da solista: Aftermath.
Il disco è in realtà colonna sonora di War
Story e contiene al suo interno solamente tre brani cantati. Già queste
poche tracce portavano il timbro dell’ispirazione elettronica che ha dato nuova
linfa vitale alla musica di Amy Lee.
Amy Lee - RECOVER, Vol. 1 |
Il nuovo EP è una sintesi di quello che è stato, quello che
è e quello che potrebbe essere. Ogni pezzo respira con un’anima diversa, ma in
tutti scorre lo stesso sangue di razza. It’s
a fire (Portishead) apre con il pianoforte e la carismatica voce della
cantante, un connubio capace di creare un’atmosfera parallela fatta di aria e
cose immateriali. With or without you (U2)
è un mix di elettronica e riverberi che continua a viaggiare nella stessa
dimensione eterea del precedente brano, assumendo però connotazioni quasi
psichedeliche. La voce, per l’intera durata della canzone, viaggia nel
(meraviglioso) registro basso della cantante. Going to california (Led Zeppelin) è un territorio ancora
inesplorato: solo chitarra acustica e voce, una voce che questa volta non ha
paura di giocare con le note, di accarezzare gli arpeggi di chitarra con
estrema delicatezza e dolcezza. L’ultimo pezzo, Baby did a bad bad thing (Chris Isaak) ha il sapore di Evanescence
e di rock. Inizialmente registrato per fare da sottofondo a una scena di un
film, è stato scartato all’ultimo momento. Meno male che non è rimasto in un
cassetto a prendere polvere, perché è un brano che sembra esserle stato cucito
addosso.
Ogni brano è stato immerso nel personale mondo di Amy Lee
prima di essere inserito nell’EP e questo mondo suona chiaro alle orecchie di
chi ascolta: un mondo complesso fatto di pianoforte ed elettronica, di sussurri
e chitarre elettriche. Un’artista con un potenziale espressivo enorme, che ama
esplorare e scrivere musica per passione, anche se questo vuol dire farlo
lontano dai riflettori e senza il supporto della band con cui ha pubblicato
solo album di successo.
Presto potremo sentire la cantante nella colonna sonora del
film Voice from the stone con il
brano Speak to me. Una cosa è sicura:
nessuno può cercare di immaginare come suonerà, perché Amy Lee è sempre pronta
a seguire direzioni inaspettate, ma sempre dannatamente belle.