lunedì 2 novembre 2015

Dall'acqua nasce l'anima - Capitolo IV

«Enna! Enna, sei tu?»
Rannicchiata al buio della sua cella, quella voce le giunse lontana, come se venisse da un altro mondo, da un sogno. Si stringeva le gambe contro il petto e continuava a tremare e guardare dritto avanti a sé. Era passata una mezz'ora così: a tremare e a guardare il nulla.
«Ti prego Enna, rispondimi. Ho bisogno di sentirmi dire che sei tu.»
Era la centesima volta che quella voce la implorava e non otteneva nulla. Ma quel ti prego fece tremare qualcosa dentro di lei, qualcosa vicino al cuore, e la risvegliò da quello stato di shock che l'aveva paralizzata.
«Si, Ren, sono io» rispose continuando a guardare dritto davanti a sé.
Per un minuto in quelle due celle non si sentì altro se non il canto dei grilli che si insinuava da una piccola fenditura nel muro. Poi Enna sentì Ren singhiozzare alle sue spalle e quando si girò lo vide piangere. Piangeva, rannicchiato proprio come lei. Le celle erano attaccate e separate solo da sbarre di ferro troppo vicine per poterci passare attraverso, ma abbastanza lontane da permettere agli sguardi di toccarsi. Enna si avvicinò e fece scivolare la sua mano oltre quelle sbarre. Sfiorò il ginocchio di Ren – più in là non arrivava – e poi vi si fermò sopra.
«Perché piangi?»
Ecco, quelle lacrime l'avevano scossa profondamente.
«Tu non dovresti essere qui e nemmeno io. Sono stato uno stupido. Mi dispiace, Enna, mi dispiace non sai quanto.»
Quel sussurro si insinuò sotto la sua pelle, come quello della regina. Ma in un modo completamente diverso. La voce di Ren era come una coperta, la scaldava e la faceva sentire al sicuro, nonostante tutto.
«Non è colpa tua... io me l'ero cavata. Mi ha aiutato Ruth e mi ha detto tante cose di te... l'hai sempre fatta franca. Il disastro sono stata io, sicuramente mi avranno sentito far rumore nel bosco» rispose cercando il suo sguardo.
Ren strisciò il più possibile avanti e adesso custodiva la mano di Enna nella sua. Non sapeva bene cosa gli stava succedendo. Erano stati insieme pochissimo, eppure... forse si era innamorato di lei nelle milioni di volte che l'aveva pensata e ricordata? Forse perché tutti e due non appartenevano veramente a quel posto e lui lo sapeva bene.
«Enna, ce ne andremo di qui, vedrai.»
«No, Ren, non è vero.»
Nel silenzio che seguì i loro respiri erano la cosa più reale e materiale del mondo. Erano una promessa. Erano un Io sono qui. Io ci sono.
«In tutto questo tempo ho provato così tante volte a venire quaggiù Ren, non sai quanto.»
«Non avresti dovuto» rispose Ren cominciando ad accarezzare quella mano che fino a pochi secondi prima si era limitato a proteggere.
«Sì, Ruth mi stava aiutando... ma non sono finita qui perché mi hanno scoperto. Sono qui perché...»
Le urla della regina e il suo sorriso folle la fecero esitare.
«Perché?» la incoraggiò lui.
«Perché l'uomo di cui Lisbet è segretamente innamorata mi ha chiesto di ballare. Poi ha visto i miei occhi e mi ha portata qui...»
Silenzio.
«Ren, ho paura...» confessò cercando di avvicinarsi ancora di più alle sbarre, ma non poteva. Poggiò il palmo dell'altra mano sulla ringhiera che quelle sbarre formavano. Ren fece lo stesso e quelle mani complementari, per quanto non riuscissero a sfiorarsi, si stavano sorreggendo l'un l'altra.
«Ce ne andremo di qui, Enna, te lo prometto» tornò a ripetere lui.
No, non è vero pensò Enna, ma questa volta lo tenne per sé.

Aveva sentito parlare tante volte dell'amore. Lo aveva letto, visto, ascoltato. E ovunque – proprio ovunque – si parlava di un cuore che batteva all'impazzata, come un martello, pronto ad esplodere. Il suo cuore, al contrario, era rimasto sospeso in mezzo al petto e sembrava non muoversi più. Era come fosse una piccola barca in balia di onde misteriose. Non erano come quelle del mare, perché si muovevano molto più lentamente, turbate da nessun vento, e cullavano quel cuore come una mamma fa con il suo bambino. Non erano fredde, ma calde, calde di un calore debole, come quello di un fuoco che timidamente prova ad ardere la legna e a rischiarare il buio con la sua pallida luce. Ma più di tutto erano dolci e il suo cuore non poteva far altro che lasciarsi guidare, sprofondare chissà in quali luoghi dentro di sé e poi emergere, preda di quel sentimento che non aveva mai esplorato. Ecco cos'avevano in comune quelle onde con il mare: che non si smetteva mai di scoprirle e tanto più si andava in profondità, tanto più c'era da vedere, da sentire, da respirare. Tanto più si andava in profondità, tanto più il mondo era distante e incapace di ferire, attaccare, esistere. Erano onde in cui ci si sentiva protetti, al sicuro. E fu tra quelle onde che Enna chiuse gli occhi e si addormentò. 

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