lunedì 2 novembre 2015

Dall'acqua nasce l'anima - Capitolo III

III


«Dai, su, siamo qui a guadagnarci da vivere, non a pettinare le bambole! Domani sera il castello sarà pieno di ospiti e c'è ancora tantissimo lavoro da fare!» urlò Lea - la più anziana delle domestiche - verso un gruppetto di cinque donne che stavano perdendo tempo in chiacchiere.
Alla fine Ruth era riuscita a trovare un impiego ad Enna all'interno del castello come aveva promesso. Era entrata a far parte di quelli che erano formalmente chiamati “I collaboratori della regina” e che in realtà non erano niente di più che domestici. Non aveva un compito in particolare: faceva ciò di cui c'era bisogno.
Lavorava lì dentro da un mese ormai e si era conquistata la fiducia delle sue compagne e anche Ruth aveva capito di potersi fidare completamente di lei. Inutile dire che Ren non si era più fatto vivo dal ballo in maschera. Aveva provato a bussare alla sua porta, ma non aveva ricevuto alcuna risposta. Era sparito. Sparito nel nulla. Mentre le sue compagne aspiravano a poter entrare un giorno nella camera della regina anche solo per metterla in ordine, a lei interessava semplicemente accedere alle segrete.
In quei giorni c'era stato un grande lavoro da fare: la regina Lisbet aveva indetto una festa che si proponeva di essere la più grande di sempre. Enna aveva sentito dai bisbigli che le domestiche si scambiavano prima di scoppiare in quelle loro risatine da pettegole che sarebbero arrivati uomini illustri e bellissimi.
Ruth, nella penombra di un corridoio, le fece cenno di avvicinarsi. Enna lanciò un'occhiata alla sua sinistra alla più anziana delle domestiche – che coordinava i lavori – e vedendola assorta nei suoi lavori, poggiò le tende che doveva montare davanti alle finestre e si avvicinò a Ruth.
«Credo di essere sull'orlo di una crisi di nervi. Maledetta Lisbet e maledette feste... non sai quanto lavoro ci sia da fare in cucina» esordì Ruth passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore. Era l'unica che osava parlare male di Apparenza e della regina. Tutti gli altri ne erano entusiasti. Estasiati. L'unica, fatta eccezione di Ren. Forse per quello erano tanto amici.
«Posso averne una vaga idea... è da giorni che lavoriamo anche noi senza fermarci un attimo» le rispose lanciando un'occhiata alle tende che, scivolando dallo spazioso davanzale, caddero per terra.
«Stavo pensando che... domani ci sarà questa grandissima festa, no? Io sarò troppo occupata nel preparare la cena anche solo per respirare, ma il tuo lavoro consiste più nei preparativi... nonostante la tua diligenza, sei ancora la più giovane e dubito ti schierino in prima linea a servizio degli ospiti della regina. Se tu riuscissi a sfruttare il caos generale potrebbe essere l'occasione perfetta per sgattaiolare nelle segrete e vedere se trovi Ren...»
Ormai aveva imparato a conoscerla e sapeva che il suo spirito non era dei più temerari. Se glielo stava proponendo era perché pensava veramente che avrebbe potuto aver successo in questo tentativo.
«Potrei provarci, ma dovresti dirmi qualcosa di più. Ti è mai capitato di vederle?»
«Purtroppo no Enna, ma sei una persona scaltra. Nel caso dovessi trovarti nei guai, magari con una guardia, sono sicura che troverai il modo di uscirne egregiamente. È un'occasione che non possiamo perdere...»
Enna inspirò profondamente e poi annuì. Avrebbe trovato il coraggio necessario. Nella peggiore delle ipotesi avrebbero portato anche lei nelle segrete e lì avrebbe scoperto la verità che tanto stava cercando.
«Enna, dove diavolo sei finita!?» urlò Lea irata.
Fece cenno a Ruth di andarsene e, a capo chino, tornò dove le tende erano cadute. Le raccolse senza dire niente, rimettendosi al lavoro.

Enna aveva passato la notte quasi insonne. Aveva parlato con Ruth con più calma a fine giornata ed era riuscita a convincerla del fatto che non sarebbe stata una missione troppo difficile. Tutta la cucina e la maggior parte delle domestiche sarebbe stata occupata a servire la cena, mentre i soldati si sarebbero sicuramente occupati di mantenere ordine e sicurezza sia fuori che dentro al castello. Le prigioni non sarebbero state la priorità per nessuno. Tranne che per lei.
Erano state preparate delle nuove divise anche per le domestiche per l'occasione. La regina Lisbet aveva fatto cucire dei vestitini color pesca tutti uguali che, dietro la schiena, si legavano con un grande fiocco. Il loro compito, oltre quello di preparare il castello e accompagnarvi gli ospiti all'interno, sarebbe stato quello di allietare gli uomini con il loro bell'aspetto.
«O Enna, eccoti finalmente! Ti ho cercata ovunque...» disse Lea spuntando alle sue spalle.
«Sì, stavo sistemando le tende per gli ultimi particolari... qualcosa non va?» domandò notando la preoccupazione nel suo sguardo.
«Quella stupida oca di Jenna si è ammalata» disse Lea con un moto di stizza stringendo i pugni «quindi, anche se sei qui da poco con noi, penso che potresti sostituirla tu. Dopotutto ti sei rivelata affidabile.»
Dannazione, pensò.
«Non so Lea, ho paura di fare un po' di confusione... non so bene cosa devo fare... non c'è nessun'altra che può sostituirla?»
Lea si limitò a scuotere il capo e a trafiggerla con uno sguardo truce.
«Io... d'accordo» si arrese alla fine.
Lea sembrò illuminarsi e – per la prima volta – la vide addirittura accennare ad un sorriso.
«Fatti spiegare dalle tue compagne come funzionerà la serata... il dovere mi chiama!»

Oltre a un gran numero di uomini illustri la regina Lisbet aveva, ovviamente, invitato alcune delle donne più belle di Apparenza. Sarebbe stato compito delle domestiche anche quello di assicurarsi che nessuno degli invitati rimanesse solo durante il corso della serata. Per questo Lisbet si era impegnata affinché risultassero splendide all'interno dei loro vestiti color pesca e si era raccomandata affinché sul viso di tutte fosse passato almeno un velo di trucco. Dovevano essere belle solo per quella serata, si intende. Una semplice domestica non avrebbe mai potuto innamorarsi di un uomo superiore a lei in bellezza, intelligenza, condizione sociale... era una delle tante regole che si potevano leggere in quelle famose pergamene.
Lea – che tra tutte, nonostante l'età, sembrava la più esperta con il trucco – aveva appena finito di voluminizzare le ciglia di Enna quando, dalle grandi finestre aperte, le raggiunse il rumore delle prime carrozze.
«Splendida» mormorò Lea strizzando un occhio ad Enna. Evidentemente si era svegliata con il piede giusto quella mattina.
«Forza, tutte fuori! Non litigate, di uomini ce n'è a volontà per ognuna di voi.»
Tutte si spinsero fuori con frenesia mentre Enna, con ben poco entusiasmo, le seguì dal fondo della fila. Si disposero in due file opposte, ai lati del breve sentiero che, dalle carrozze, portava al grande portone del castello. Ogni volta che arrivava un uomo una delle domestiche si avvicinava e, a braccetto, si allontanavano, diretti verso il cuore della festa.
Enna rimase fuori per circa mezz'ora, ad aspettare insieme ad altre poche i ritardatari – indispensabili per una festa che si rispetti. Sembrava che ormai non dovesse più arrivare nessuno quando un'altra carrozza si fermò a pochi passi da loro. L'agitazione di tutte le sue compagne catturò l'attenzione di Enna. Lo sportello si aprì e, lentamente, ne uscì un uomo giovane che, tra tutti quelli che aveva visto sfilarle di fianco, era di gran lunga il più bello. Sembrò non essere l'unica a pensarla così perché le poche domestiche rimaste si accalcarono intorno a lui – intenzionate probabilmente a litigare per chi dovesse prenderselo. Enna, per tutta risposta, rimase immobile e volse il suo sguardo altrove. Se solo fosse riuscita ad andarsene di lì senza dover essere la compagna di nessun uomo... nessuno avrebbe notato la sua assenza.
«Lei. Voglio lei» disse l'uomo.
Enna si voltò speranzosa, ma il dito dell'uomo stava indicando proprio lei.
«Me?»
«Sì.»
Cercò di mantenersi calma e timidamente avanzò in mezzo agli occhi invidiosi delle sue compagne e prese per braccio l'uomo. Il tepore che si portava dietro dalla sua carrozza la scaldò subito dal freddo che aveva provato aspettando lì fuori per tutto quel tempo.
«È un crimine che vi abbiano fatto aspettare fuori con questo freddo. Mi scuso per il ritardo» esordì l'uomo dopo qualche passo.
«Sì figuri, siamo qui per questo» rispose Enna imbarazzata.
«...e soprattutto farla aspettare con delle ragazze tanto competitive. Per un attimo ho temuto che mi sarebbero saltate addosso» aggiunse poi mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso dolce.
«Per questo ha voluto la mia compagnia?»
«In un certo senso... e poi era lì, in disparte. Mi piacciono le sfide difficili.»
Salirono i primi scalini ed Enna continuava a sentire gli sguardi insistenti delle altre domestiche puntati su di lei.
«Posso sapere il suo nome, signorina?» domandò varcando la soglia. Un lungo corridoio illuminato da grandi lampadari e candele si srotolava davanti a loro per condurci alla sala da pranzo.
«Enna» rispose guardandosi intorno.
«Io sono Llyod.»
Continuarono a camminare in silenzio per un po'. Il corridoio era più lungo di quanto Enna ricordasse.
«Signorina Enna, lei è parecchio timida oppure la ripudio a tal punto da non potermi rivolgere nemmeno un semplice sguardo?» domandò l'uomo. Dal tono di voce con sui si rivolse a lei, Enna indovinò il sorriso sulle sue labbra. Seppure imbarazzata e con il viso in fiamme spostò i suoi occhi blu sul viso dell'uomo.
«Ha degli occhi bellissimi. Dovrebbe metterli in mostra più spesso» disse l'uomo non appena la grande stanza si aprì davanti a noi. Prese la mano di Enna tra le sue e con un bacio si dileguò.
Ormai, anche senza rendersene conto, aveva imparato a tenerli sempre chini e ad evitare – quando possibile – il contatto visivo diretto con chiunque. Ma lui, ormai, li aveva notati.

Enna era nervosa. Il salone in cui si stava consumando la cena era immenso e lei, insieme alle altre domestiche, era seduta su divanetti raffinatissimi, lontana dall'infinita tavola bandita. Spesso giungeva fino a loro l'odore invitante delle pietanze e tutte si voltavano ad osservarle sfilare lungo tutto il salone prima di poggiarsi tra gli sguardi meravigliati degli ospiti. In tutti quei piatti c'era la mano magica di Ruth, per quello avevano un aspetto talmente invitante da stuzzicare anche l'appetito di Enna, nonostante il nervosismo. Iniziò anche a mordere le sue lunghe e belle unghie dal nervosismo. Non lo aveva mai fatto, da che ricordasse. Nonostante in questa situazione fosse molto più difficile del previsto, era ancora ostinata ad andare a cercare Ren nelle prigioni del castello. Finita la cena la musica avrebbe invaso l'intero salone e, tra le coppie danzanti, non sarebbe stata una missione così ardua dileguarsi senza dare nell'occhio.
«Signorina?»
«Mh?» rispose Enna. In realtà i suoi occhi erano già puntati verso il soldato, ma, persa nei suoi pensieri, lo vide solo in quel momento.
«La smetta di mangiarsi le unghie o sarò costretto a prendere provvedimenti. Lisbeth è a pochi metri da noi e non mi permetterebbe mai di lasciarla impunita... ormai, dopo quasi un mese, ho preso l'abitudine di vederla gironzolare per il castello e mi dispiacerebbe doverla chiudere nelle segrete» disse a bassa voce, come se la regina potesse sentirli. Accennò un sorriso e tornò alla sua posizione composta ed eretta, in piedi, a qualche passo da loro.
Si era dimenticata di quella stupida regola. L'avrebbe portata nelle segrete? Le avrebbe quasi fatto un favore. Peccato che, chiusa nelle segrete, se anche avesse trovato Ren, non sarebbe stata in grado di liberarlo. E di liberarsi, soprattutto.
Stava ancora valutando le varie possibilità per decidere quale fosse la migliore, quando le chiacchiere da pettegole delle sue colleghe catturarono la sua attenzione.
«Oh, e Lloyd... che bell'uomo che è! Non stento a credere che la regina abbia un debole per lui.»
«Un debole per lui? Oh, non mi dire!» disse una scoppiando in una delle sue classiche risatine.
«C'è chi dice che tutta questa festa sia stato solo un pretesto per invitarlo! Sono tutte voci di corridoio, ovviamente.»
«Suvvia, è la regina. Se vuole un uomo, basta dirlo, no? Non ha bisogno certo di ricorrere a questi trucchetti per catturare l'attenzione!»
«Non essere sciocca! Lisbet, regina o meno che sia, è pur sempre una donna e un uomo vuole conquistarlo, non averlo ai suoi piedi per la sua autorità.»
«E invece il signor Lloyd sembra prestare attenzione a un'altra donna.»
«E chi, per l'amor del cielo?»
«Oh, non fingete di non esservi accorte che, per tutta la sera, ha guardato Enna. E anche prima, quando è sceso dalla carrozza... insomma, è chiaro! È già pazzo di lei, non è vero Enna?»
Improvvisamente, nonostante ci fossero solo una decina di donne, sentì su di sé centinaia di sguardi. Anzi, migliaia. La cosa la mise talmente in imbarazzo da farla arrossire.
«Ma che diamine dite! Sono sicura che il signor Lloyd sia un uomo molto composto ed onesto e che ci voglia ben altro per fargli perdere la testa. E poi... la regina Lisbet sarebbe una compagna molto più adatta a lui, rispetto a me» rispose abbassando il capo per nascondere il rossore delle guance.
«Che sia più adatta per lui non vuol dire che sia la donna che vuole... oh, lo vedremo chi avrà ragione a fine di questa lunga serata!»
Tutte scoppiarono in una delle loro fragili risate e poi ripreso a parlare degli abiti di uno piuttosto che dell'altro.

«Mi concedi l'onore di un ballo con te?»
E per la seconda volta i suoi piani le si sgretolarono davanti. Questa volta, almeno, le si era rivolto con un più amichevole tu, evitando di farla sentire un'anziana signora. I musicisti avevano già fatto il loro ingresso – ed Enna nemmeno se ne era accorta. Alcuni volti le sembrarono familiari, probabilmente erano gli stessi che già avevano suonato durante il primo ballo in maschera, dove aveva perso Ren.
Lloyd rimase davanti a lei un paio di secondi prima che Enna realizzasse che quell'invito attendeva una risposta. Avrebbe voluto alzarsi senza rispondergli, allontanarsi da tutto quel caos e andare alle segrete... o almeno trovare Ruth e spiegarle perché non aveva potuto fare niente... non avrebbe sopportato il suo sguardo deluso, l'indomani, nell'apprendere che non aveva combinato nulla.
«Io...»
Ma che diamine sto facendo? Non posso rifiutare. Cosa ne sarebbe di me?
«Sì, certo.»
Enna accennò un sorriso e, appoggiandosi a quella mano tesa verso di lei, si alzò, sistemando il vestito sulla sua pelle morbida. Le continue risate divertite delle sue compagne in sottofondo stavano cominciando a stancarla seriamente.
Lloyd la guidò fino al centro del salone, sfilando in mezzo a decine di altre coppie. Enna non poté fare a meno di guardarsi attorno e di notare che alcune donne ancora giravano per la stanza alla ricerca di un partner. Perché, allora, accontentarsi di una domestica come lei?
«Sai ballare?» domandò lui esibendo un altro dei suoi ammalianti sorrisi.
Enna dovette, dentro di sé, ammettere che era un uomo molto affascinante e non si sarebbe stupita se quelle voce su lui e la regina fossero vere. C'era qualcosa nel colore della sua voce, nel suo modo di camminare, di tenerla per mano, che l'aveva stregata. Ma ancora più in profondità, dentro di sé, dovette ammettere che in quel momento – e da molti giorni a quella parte – i suoi pensieri erano rivolti a un altro uomo.
«Mi è sempre piaciuto, ma non sono una grande ballerina... non ho mai avuto il tempo di dedicarmici, lavoravo sempre...»
Per un attimo Enna si bloccò. Lavorava sempre? Come faceva a saperlo? Tutta la sua vita, prima di mettere piede ad Apparenza, era come avvolta da una fitta nebbia. Quel ricordo, involontariamente, per una frazione di secondo, era tornato a galla ed era affiorato sulle sue labbra ed adesso già sembrava sfuggirle.
«È arrivato il tempo di provare, allora. Ecco, questa mano la devi mettere qui, mentre quest'altra...»
«Non sono così tanto indietro... le mani so dove metterle» rispose Enna gentilmente ed incrociando gli occhi di Lloyd. Prima non aveva avuto il tempo – o forse la voglia – di guardarlo per bene, ma adesso vedeva in fondo a quegli occhi qualcosa di buono e rassicurante.
«Vuoi sapere una cosa? Era l'unica cosa che avrei potuto insegnarti. In realtà io sono un pessimo ballerino. Ci inventeremo qualcosa» rispose e di nuovo un sorriso piegò le sue labbra. Con lui, come con Ren, sorridere sembrava la cosa più naturale del mondo.
Mossero il primo passo insieme e a quello ne seguirono molti altri. A volte si fermavano e poi ricominciavano, ma dopo un paio di canzoni erano entrati in sintonia e non avevano niente da invidiare alle altre numerose coppie, tutt'altro. Quando Lloyd si soffermava troppo a lungo sugli occhi blu di Enna, lei, imbarazzata, li abbassava e per un po' guardava le mattonelle del pavimento incastrarsi alla perfezione. A casa sua – un altro stupido ricordo – non erano così dannatamente ordinate. Ad Enna sembrò impossibile che qualcuno fosse dotato di quella millimetrica precisione.
«Inizia a fare caldo, eh?»
Enna annuì. Si fermarono per riprendere fiato e nel vedere la fronte lucida di Lloyd, Enna pensò a quanto fosse strano che Lisbet non aveva inserito tra le sue stupide regole anche quella di non poter sudare.
«Magari vado a prendere qualcosa da bere. Hai preferenze?»
«Prendo quello che prendi tu, quindi ti conviene scegliere bene» lo provocò scherzosamente Enna.
«Io ci vado giù forte, non vorrei averti sulla coscienza» rispose allo scherzo Lloyd aggiustandosi il nodo della cravatta.
«Mi credi forse una ragazza dal fegato debole?»
Lloyd sollevò entrambe le mani come in segno di resa e poi si allontanò. Enna sospirò. Quanto tempo era passato? Lei doveva essere da tutt'altra parte in quel momento, eppure quell'uomo le piaceva. Non come le piaceva Ren, in un altro senso. Non le sembrava un uomo costruito come tutti gli altri. Assomigliava a lei, a Ruth e a Ren. Certo, a volte si vedeva che era intrappolato in quella società di apparenze, ma ci era nato, come poteva essere altrimenti? Enna vedeva qualcosa di diverso sotto tutti quegli strati di buone maniere, di regole, di imposizioni. Era un uomo buono, non sapeva come altro definirlo.
«Signorina, le dispiace seguirmi?»
Enna si voltò e vide il soldato che qualche ora prima le aveva consigliato di smetterla di mangiarsi le unghie, il soldato che le aveva sorriso.
«Io... cos'ho fatto questa volta?» domandò Enna esasperata. La serietà sul volto di quell'uomo la preoccupava. Era ferma, semplicemente immobile nel mezzo di quel salone. Cosa aveva mai potuto fare?
«La prego di seguirmi» tornò a ripetere l'uomo a capo chino. Sembrava vergognarsi di quello che stava facendo, si sentiva umiliato. Come se in realtà non volesse farlo.
L'uomo si fece largo in mezzo alle persone ed Enna lo seguì a ruota. Percorsero un lungo corridoio fino ad arrivare ad una grande stanza sfarzosa in cui lei non aveva mai avuto il permesso di accedere – non che le importasse qualcosa. Non c'era nessuno, se non lei e il soldato che, dopo averle detto di aspettare lì, la lasciò da sola. L'attesa non fu lunga, ma fu comunque tormentata. Domande su domande che non potevano avere risposta.
«TU!»
Una donna urlò furiosa alle sue spalle. Bastò la voce, solo quella, a far tremare Enna. La paura si era insinuata sotto alla sua pelle. Conosceva quella voce. L'aveva sentita parecchie volte nei corridoi. Quando si voltò Lisbet avanzava verso di lei con un passo goffo, affrettato, ostacolato dal lungo vestito dorato che stringeva tra le mani.
«SGUALDRINA! PUTTANA!»
Enna rimase immobile e la guardava avanzare sempre più veloce e quando le sembrò troppo vicina cominciò ad arretrare, ma quella stanza non offriva vie d'uscita. E poi, in ogni caso, a cosa sarebbero servite? Non si poteva scappare da quel mondo. Quando la regina fu a pochi centimetri da lei Enna abbassò il capo in attesa di un'altra serie di insulti o di percosse. Non l'aveva mai vista così tanto irata. Vide la mano piccola e bianca di Lisbet afferrare il lembo del suo vestito, sopra il seno, e da lì tirarla a sé. Sentiva il suo respiro irregolare accarezzare la sua pelle nuda.
«Tu... dovresti pregare di poter vivere qui, nel mio regno. Ti ho dato una casa e ti ho dato un lavoro e tu...» la sua voce adesso era un sussurro. Un sussurro che le scivolava dentro e che sembrava parlare ad ogni cellula del suo corpo.
«TU VUOI ANCHE IL MIO UOMO? INGRATA!» urlò nuovamente.
Uno schiaffo colpì con un'inaspettata forza la guancia di Enna che si ritrovò a piangere. Si tenne in piedi a fatica, semplicemente perché la regina non accennava ad allentare la prese sul suo vestito. Le lacrime le bagnarono gli occhi non solo per il dolore, ma per tutte quelle urla che continuavano a echeggiare dentro di sé.
«GUARDAMI NEGLI OCCHI MENTRE TI PARLO!»
Con la mano libera le alzò a forza il mento. Enna non vide il viso della regina deformato dalla rabbia perché le lacrime le annebbiavano ancora la vista.
«E NON PIANGERE. IO NON VOGLIO ACQUA IN QUESTO MALEDETTO MONDO! NON LA VOGLIO!»
Enna in quel momento si domandò quanto sottile fosse il confine tra rabbia e pazzia e si domandò se la regina lo avesse già superato.
«Però...» tornò a sussurrare inclinando appena il capo di lato.
La mano si spostò da sotto al mento e andò ad asciugare le lacrime di Enna. Lentamente smisero di sgorgare, forse impietrite anche loro da quel contatto.
«I tuoi occhi, anche senza lacrime, mi ricordano l'acqua... no, non semplicemente l'acqua. Mi ricordano il mare... no, neanche semplicemente il mare. Mi ricordano l'oceano. Il grande, sconfinato, immenso oceano» disse estremamente piano.
Enna vide quegli occhi, mentre la studiavano, spalancarsi e vide le labbra, di tanto in tanto, accennare un sorriso per poi tornare a stringersi e di nuovo distendersi in quello che le sembrò un tic nervoso. Aveva decisamente oltrepassato il confine.
«Ora capisco di cosa parlava Lloyd... i tuoi occhi sono incantevoli... ma rimani una sciacquetta. Una sciacquetta che non si prenderà il mio uomo... e adesso... verrai con me. Ti darò io un posto dove stare» concluse e il sorriso sembrò stabilizzarsi sulle sue labbra.
Enna continuò a guardare dritto avanti a sé anche quando, finalmente, la regina mollò la presa sul suo vestito e cominciò lentamente a muoversi per farle strada. Ren le aveva parlato di un posto in cui le persone venivano rinchiuse per passare lì il resto della loro vita...
Mosse i primi passi incerti ed ogni volta che poggiava il piede per terra doveva concentrarsi per mantenere l'equilibrio. Barcollava. E già pensava a quella breccia nel muro.



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