III
«Dai,
su, siamo qui a guadagnarci da vivere, non a pettinare le bambole!
Domani sera il castello sarà pieno di ospiti e c'è ancora
tantissimo lavoro da fare!» urlò Lea - la più anziana delle
domestiche - verso un gruppetto di cinque donne che stavano perdendo
tempo in chiacchiere.
Alla
fine Ruth era riuscita a trovare un impiego ad Enna all'interno del
castello come aveva promesso. Era entrata a far parte di quelli che
erano formalmente chiamati “I collaboratori della regina” e che
in realtà non erano niente di più che domestici. Non aveva un
compito in particolare: faceva ciò di cui c'era bisogno.
Lavorava
lì dentro da un mese ormai e si era conquistata la fiducia delle sue
compagne e anche Ruth aveva capito di potersi fidare completamente di
lei. Inutile dire che Ren non si era più fatto vivo dal ballo in
maschera. Aveva provato a bussare alla sua porta, ma non aveva
ricevuto alcuna risposta. Era sparito. Sparito nel nulla. Mentre le
sue compagne aspiravano a poter entrare un giorno nella camera della
regina anche solo per metterla in ordine, a lei interessava
semplicemente accedere alle segrete.
In
quei giorni c'era stato un grande lavoro da fare: la regina Lisbet
aveva indetto una festa che si proponeva di essere la più grande di
sempre. Enna aveva sentito dai bisbigli che le domestiche si
scambiavano prima di scoppiare in quelle loro risatine da pettegole
che sarebbero arrivati uomini illustri e bellissimi.
Ruth,
nella penombra di un corridoio, le fece cenno di avvicinarsi. Enna
lanciò un'occhiata alla sua sinistra alla più anziana delle
domestiche – che coordinava i lavori – e vedendola assorta nei
suoi lavori, poggiò le tende che doveva montare davanti alle
finestre e si avvicinò a Ruth.
«Credo
di essere sull'orlo di una crisi di nervi. Maledetta Lisbet e
maledette feste... non sai quanto lavoro ci sia da fare in cucina»
esordì Ruth passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore.
Era l'unica che osava parlare male di Apparenza e della regina. Tutti
gli altri ne erano entusiasti. Estasiati. L'unica, fatta eccezione di
Ren. Forse per quello erano tanto amici.
«Posso
averne una vaga idea... è da giorni che lavoriamo anche noi senza
fermarci un attimo» le rispose lanciando un'occhiata alle tende che,
scivolando dallo spazioso davanzale, caddero per terra.
«Stavo
pensando che... domani ci sarà questa grandissima festa, no? Io sarò
troppo occupata nel preparare la cena anche solo per respirare, ma il
tuo lavoro consiste più nei preparativi... nonostante la tua
diligenza, sei ancora la più giovane e dubito ti schierino in prima
linea a servizio degli ospiti della regina. Se tu riuscissi a
sfruttare il caos generale potrebbe essere l'occasione perfetta per
sgattaiolare nelle segrete e vedere se trovi Ren...»
Ormai
aveva imparato a conoscerla e sapeva che il suo spirito non era dei
più temerari. Se glielo stava proponendo era perché pensava
veramente che avrebbe potuto aver successo in questo tentativo.
«Potrei
provarci, ma dovresti dirmi qualcosa di più. Ti è mai capitato di
vederle?»
«Purtroppo
no Enna, ma sei una persona scaltra. Nel caso dovessi trovarti nei
guai, magari con una guardia, sono sicura che troverai il modo di
uscirne egregiamente. È
un'occasione che non possiamo perdere...»
Enna
inspirò profondamente e poi annuì. Avrebbe trovato il coraggio
necessario. Nella peggiore delle ipotesi avrebbero portato anche lei
nelle segrete e lì avrebbe scoperto la verità che tanto stava
cercando.
«Enna,
dove diavolo sei finita!?» urlò Lea irata.
Fece
cenno a Ruth di andarsene e, a capo chino, tornò dove le tende erano
cadute. Le raccolse senza dire niente, rimettendosi al lavoro.
Enna
aveva passato la notte quasi insonne. Aveva parlato con Ruth con più
calma a fine giornata ed era riuscita a convincerla del fatto che non
sarebbe stata una missione troppo difficile. Tutta la cucina e la
maggior parte delle domestiche sarebbe stata occupata a servire la
cena, mentre i soldati si sarebbero sicuramente occupati di mantenere
ordine e sicurezza sia fuori che dentro al castello. Le prigioni non
sarebbero state la priorità per nessuno. Tranne che per lei.
Erano
state preparate delle nuove divise anche per le domestiche per
l'occasione. La regina Lisbet aveva fatto cucire dei vestitini color
pesca tutti uguali che, dietro la schiena, si legavano con un grande
fiocco. Il loro compito, oltre quello di preparare il castello e
accompagnarvi gli ospiti all'interno, sarebbe stato quello di
allietare gli uomini con il loro bell'aspetto.
«O
Enna, eccoti finalmente! Ti ho cercata ovunque...» disse Lea
spuntando alle sue spalle.
«Sì,
stavo sistemando le tende per gli ultimi particolari... qualcosa non
va?» domandò notando la preoccupazione nel suo sguardo.
«Quella
stupida oca di Jenna si è ammalata» disse Lea con un moto di stizza
stringendo i pugni «quindi, anche se sei qui da poco con noi, penso
che potresti sostituirla tu. Dopotutto ti sei rivelata affidabile.»
Dannazione,
pensò.
«Non
so Lea, ho paura di fare un po' di confusione... non so bene cosa
devo fare... non c'è nessun'altra che può sostituirla?»
Lea
si limitò a scuotere il capo e a trafiggerla con uno sguardo truce.
«Io...
d'accordo» si arrese alla fine.
Lea
sembrò illuminarsi e – per la prima volta – la vide addirittura
accennare ad un sorriso.
«Fatti
spiegare dalle tue compagne come funzionerà la serata... il dovere
mi chiama!»
Oltre
a un gran numero di uomini illustri la regina Lisbet aveva,
ovviamente, invitato alcune delle donne più belle di Apparenza.
Sarebbe stato compito delle domestiche anche quello di assicurarsi
che nessuno degli invitati rimanesse solo durante il corso della
serata. Per questo Lisbet si era impegnata affinché risultassero
splendide all'interno dei loro vestiti color pesca e si era
raccomandata affinché sul viso di tutte fosse passato almeno un velo
di trucco. Dovevano essere belle solo per quella serata, si intende.
Una semplice domestica non avrebbe mai potuto innamorarsi di un uomo
superiore a lei in bellezza, intelligenza, condizione sociale... era
una delle tante regole che si potevano leggere in quelle famose
pergamene.
Lea
– che tra tutte, nonostante l'età, sembrava la più esperta con il
trucco – aveva appena finito di voluminizzare le ciglia di Enna
quando, dalle grandi finestre aperte, le raggiunse il rumore delle
prime carrozze.
«Splendida»
mormorò Lea strizzando un occhio ad Enna. Evidentemente si era
svegliata con il piede giusto quella mattina.
«Forza,
tutte fuori! Non litigate, di uomini ce n'è a volontà per ognuna di
voi.»
Tutte
si spinsero fuori con frenesia mentre Enna, con ben poco entusiasmo,
le seguì dal fondo della fila. Si disposero in due file opposte, ai
lati del breve sentiero che, dalle carrozze, portava al grande
portone del castello. Ogni volta che arrivava un uomo una delle
domestiche si avvicinava e, a braccetto, si allontanavano, diretti
verso il cuore della festa.
Enna
rimase fuori per circa mezz'ora, ad aspettare insieme ad altre poche
i ritardatari – indispensabili per una festa che si rispetti.
Sembrava che ormai non dovesse più arrivare nessuno quando un'altra
carrozza si fermò a pochi passi da loro. L'agitazione di tutte le
sue compagne catturò l'attenzione di Enna. Lo sportello si aprì e,
lentamente, ne uscì un uomo giovane che, tra tutti quelli che aveva
visto sfilarle di fianco, era di gran lunga il più bello. Sembrò
non essere l'unica a pensarla così perché le poche domestiche
rimaste si accalcarono intorno a lui – intenzionate probabilmente a
litigare per chi dovesse prenderselo. Enna, per tutta risposta,
rimase immobile e volse il suo sguardo altrove. Se solo fosse
riuscita ad andarsene di lì senza dover essere la compagna di nessun
uomo... nessuno avrebbe notato la sua assenza.
«Lei.
Voglio lei» disse l'uomo.
Enna
si voltò speranzosa, ma il dito dell'uomo stava indicando proprio
lei.
«Me?»
«Sì.»
Cercò
di mantenersi calma e timidamente avanzò in mezzo agli occhi
invidiosi delle sue compagne e prese per braccio l'uomo. Il tepore
che si portava dietro dalla sua carrozza la scaldò subito dal freddo
che aveva provato aspettando lì fuori per tutto quel tempo.
«È
un crimine che vi abbiano fatto aspettare fuori con questo freddo. Mi
scuso per il ritardo» esordì l'uomo dopo qualche passo.
«Sì
figuri, siamo qui per questo» rispose Enna imbarazzata.
«...e
soprattutto farla aspettare con delle ragazze tanto competitive. Per
un attimo ho temuto che mi sarebbero saltate addosso» aggiunse poi
mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso dolce.
«Per
questo ha voluto la mia compagnia?»
«In
un certo senso... e poi era lì, in disparte. Mi piacciono le sfide
difficili.»
Salirono
i primi scalini ed Enna continuava a sentire gli sguardi insistenti
delle altre domestiche puntati su di lei.
«Posso
sapere il suo nome, signorina?» domandò varcando la soglia. Un
lungo corridoio illuminato da grandi lampadari e candele si srotolava
davanti a loro per condurci alla sala da pranzo.
«Enna»
rispose guardandosi intorno.
«Io
sono Llyod.»
Continuarono
a camminare in silenzio per un po'. Il corridoio era più lungo di
quanto Enna ricordasse.
«Signorina
Enna, lei è parecchio timida oppure la ripudio a tal punto da non
potermi rivolgere nemmeno un semplice sguardo?» domandò l'uomo. Dal
tono di voce con sui si rivolse a lei, Enna indovinò il sorriso
sulle sue labbra. Seppure imbarazzata e con il viso in fiamme spostò
i suoi occhi blu sul viso dell'uomo.
«Ha
degli occhi bellissimi. Dovrebbe metterli in mostra più spesso»
disse l'uomo non appena la grande stanza si aprì davanti a noi.
Prese la mano di Enna tra le sue e con un bacio si dileguò.
Ormai,
anche senza rendersene conto, aveva imparato a tenerli sempre chini e
ad evitare – quando possibile – il contatto visivo diretto con
chiunque. Ma lui, ormai, li aveva notati.
Enna
era nervosa. Il salone in cui si stava consumando la cena era immenso
e lei, insieme alle altre domestiche, era seduta su divanetti
raffinatissimi, lontana dall'infinita tavola bandita. Spesso giungeva
fino a loro l'odore invitante delle pietanze e tutte si voltavano ad
osservarle sfilare lungo tutto il salone prima di poggiarsi tra gli
sguardi meravigliati degli ospiti. In tutti quei piatti c'era la mano
magica di Ruth, per quello avevano un aspetto talmente invitante da
stuzzicare anche l'appetito di Enna, nonostante il nervosismo. Iniziò
anche a mordere le sue lunghe e belle unghie dal nervosismo. Non lo
aveva mai fatto, da che ricordasse. Nonostante in questa situazione
fosse molto più difficile del previsto, era ancora ostinata ad
andare a cercare Ren nelle prigioni del castello. Finita la cena la
musica avrebbe invaso l'intero salone e, tra le coppie danzanti, non
sarebbe stata una missione così ardua dileguarsi senza dare
nell'occhio.
«Signorina?»
«Mh?»
rispose Enna. In realtà i suoi occhi erano già puntati verso il
soldato, ma, persa nei suoi pensieri, lo vide solo in quel momento.
«La
smetta di mangiarsi le unghie o sarò costretto a prendere
provvedimenti. Lisbeth è a pochi metri da noi e non mi permetterebbe
mai di lasciarla impunita... ormai, dopo quasi un mese, ho preso
l'abitudine di vederla gironzolare per il castello e mi dispiacerebbe
doverla chiudere nelle segrete» disse a bassa voce, come se la
regina potesse sentirli. Accennò un sorriso e tornò alla sua
posizione composta ed eretta, in piedi, a qualche passo da loro.
Si
era dimenticata di quella stupida regola. L'avrebbe portata nelle
segrete? Le avrebbe quasi fatto un favore. Peccato che, chiusa nelle
segrete, se anche avesse trovato Ren, non sarebbe stata in grado di
liberarlo. E di liberarsi, soprattutto.
Stava
ancora valutando le varie possibilità per decidere quale fosse la
migliore, quando le chiacchiere da pettegole delle sue colleghe
catturarono la sua attenzione.
«Oh,
e Lloyd... che bell'uomo che è! Non stento a credere che la regina
abbia un debole per lui.»
«Un
debole per lui? Oh, non mi dire!» disse una scoppiando in una delle
sue classiche risatine.
«C'è
chi dice che tutta questa festa sia stato solo un pretesto per
invitarlo! Sono tutte voci di corridoio, ovviamente.»
«Suvvia,
è la regina. Se vuole un uomo, basta dirlo, no? Non ha bisogno certo
di ricorrere a questi trucchetti per catturare l'attenzione!»
«Non
essere sciocca! Lisbet, regina o meno che sia, è pur sempre una
donna e un uomo vuole conquistarlo, non averlo ai suoi piedi per la
sua autorità.»
«E
invece il signor Lloyd sembra prestare attenzione a un'altra donna.»
«E
chi, per l'amor del cielo?»
«Oh,
non fingete di non esservi accorte che, per tutta la sera, ha
guardato Enna. E anche prima, quando è sceso dalla carrozza...
insomma, è chiaro! È
già pazzo di lei, non è vero Enna?»
Improvvisamente,
nonostante ci fossero solo una decina di donne, sentì su di sé
centinaia di sguardi. Anzi, migliaia. La cosa la mise talmente in
imbarazzo da farla arrossire.
«Ma
che diamine dite! Sono sicura che il signor Lloyd sia un uomo molto
composto ed onesto e che ci voglia ben altro per fargli perdere la
testa. E poi... la regina Lisbet sarebbe una compagna molto più
adatta a lui, rispetto a me» rispose abbassando il capo per
nascondere il rossore delle guance.
«Che
sia più adatta per lui non vuol dire che sia la donna che vuole...
oh, lo vedremo chi avrà ragione a fine di questa lunga serata!»
Tutte
scoppiarono in una delle loro fragili risate e poi ripreso a parlare
degli abiti di uno piuttosto che dell'altro.
«Mi
concedi l'onore di un ballo con te?»
E
per la seconda volta i suoi piani le si sgretolarono davanti. Questa
volta, almeno, le si era rivolto con un più amichevole tu,
evitando
di farla sentire un'anziana signora. I musicisti avevano già fatto
il loro ingresso – ed Enna nemmeno se ne era accorta. Alcuni volti
le sembrarono familiari, probabilmente erano gli stessi che già
avevano suonato durante il primo ballo in maschera, dove aveva perso
Ren.
Lloyd
rimase davanti a lei un paio di secondi prima che Enna realizzasse
che quell'invito attendeva una risposta. Avrebbe voluto alzarsi senza
rispondergli, allontanarsi da tutto quel caos e andare alle
segrete... o almeno trovare Ruth e spiegarle perché non aveva potuto
fare niente... non avrebbe sopportato il suo sguardo deluso,
l'indomani, nell'apprendere che non aveva combinato nulla.
«Io...»
Ma
che diamine sto facendo? Non posso rifiutare. Cosa ne sarebbe di me?
«Sì,
certo.»
Enna
accennò un sorriso e, appoggiandosi a quella mano tesa verso di lei,
si alzò, sistemando il vestito sulla sua pelle morbida. Le continue
risate divertite delle sue compagne in sottofondo stavano cominciando
a stancarla seriamente.
Lloyd
la guidò fino al centro del salone, sfilando in mezzo a decine di
altre coppie. Enna non poté fare a meno di guardarsi attorno e di
notare che alcune donne ancora giravano per la stanza alla ricerca di
un partner. Perché, allora, accontentarsi di una domestica come lei?
«Sai
ballare?» domandò lui esibendo un altro dei suoi ammalianti
sorrisi.
Enna
dovette, dentro di sé, ammettere che era un uomo molto affascinante
e non si sarebbe stupita se quelle voce su lui e la regina fossero
vere. C'era qualcosa nel colore della sua voce, nel suo modo di
camminare, di tenerla per mano, che l'aveva stregata. Ma ancora più
in profondità, dentro di sé, dovette ammettere che in quel momento
– e da molti giorni a quella parte – i suoi pensieri erano
rivolti a un altro uomo.
«Mi
è sempre piaciuto, ma non sono una grande ballerina... non ho mai
avuto il tempo di dedicarmici, lavoravo sempre...»
Per
un attimo Enna si bloccò. Lavorava sempre? Come faceva a saperlo?
Tutta la sua vita, prima di mettere piede ad Apparenza, era come
avvolta da una fitta nebbia. Quel ricordo, involontariamente, per una
frazione di secondo, era tornato a galla ed era affiorato sulle sue
labbra ed adesso già sembrava sfuggirle.
«È
arrivato il tempo di provare, allora. Ecco, questa mano la devi
mettere qui, mentre quest'altra...»
«Non
sono così tanto indietro... le mani so dove metterle» rispose Enna
gentilmente ed incrociando gli occhi di Lloyd. Prima non aveva avuto
il tempo – o forse la voglia – di guardarlo per bene, ma adesso
vedeva in fondo a quegli occhi qualcosa di buono e rassicurante.
«Vuoi
sapere una cosa? Era l'unica cosa che avrei potuto insegnarti. In
realtà io sono un pessimo ballerino. Ci inventeremo qualcosa»
rispose e di nuovo un sorriso piegò le sue labbra. Con lui, come con
Ren, sorridere sembrava la cosa più naturale del mondo.
Mossero
il primo passo insieme e a quello ne seguirono molti altri. A volte
si fermavano e poi ricominciavano, ma dopo un paio di canzoni erano
entrati in sintonia e non avevano niente da invidiare alle altre
numerose coppie, tutt'altro. Quando Lloyd si soffermava troppo a
lungo sugli occhi blu di Enna, lei, imbarazzata, li abbassava e per
un po' guardava le mattonelle del pavimento incastrarsi alla
perfezione. A casa sua – un altro stupido ricordo – non erano
così dannatamente ordinate. Ad Enna sembrò impossibile che qualcuno
fosse dotato di quella millimetrica precisione.
«Inizia
a fare caldo, eh?»
Enna
annuì. Si fermarono per riprendere fiato e nel vedere la fronte
lucida di Lloyd, Enna pensò a quanto fosse strano che Lisbet non
aveva inserito tra le sue stupide regole anche quella di non poter
sudare.
«Magari
vado a prendere qualcosa da bere. Hai preferenze?»
«Prendo
quello che prendi tu, quindi ti conviene scegliere bene» lo provocò
scherzosamente Enna.
«Io
ci vado giù forte, non vorrei averti sulla coscienza» rispose allo
scherzo Lloyd aggiustandosi il nodo della cravatta.
«Mi
credi forse una ragazza dal fegato debole?»
Lloyd
sollevò entrambe le mani come in segno di resa e poi si allontanò.
Enna sospirò. Quanto tempo era passato? Lei doveva essere da
tutt'altra parte in quel momento, eppure quell'uomo le piaceva. Non
come le piaceva Ren, in un altro senso. Non le sembrava un uomo
costruito come tutti gli altri. Assomigliava a lei, a Ruth e a Ren.
Certo, a volte si vedeva che era intrappolato in quella società di
apparenze, ma ci era nato, come poteva essere altrimenti? Enna vedeva
qualcosa di diverso sotto tutti quegli strati di buone maniere, di
regole, di imposizioni. Era un uomo buono, non sapeva come altro
definirlo.
«Signorina,
le dispiace seguirmi?»
Enna
si voltò e vide il soldato che qualche ora prima le aveva
consigliato di smetterla di mangiarsi le unghie, il soldato che le
aveva sorriso.
«Io...
cos'ho fatto questa volta?» domandò Enna esasperata. La serietà
sul volto di quell'uomo la preoccupava. Era ferma, semplicemente
immobile nel mezzo di quel salone. Cosa aveva mai potuto fare?
«La
prego di seguirmi» tornò a ripetere l'uomo a capo chino. Sembrava
vergognarsi di quello che stava facendo, si sentiva umiliato. Come se
in realtà non volesse farlo.
L'uomo
si fece largo in mezzo alle persone ed Enna lo seguì a ruota.
Percorsero un lungo corridoio fino ad arrivare ad una grande stanza
sfarzosa in cui lei non aveva mai avuto il permesso di accedere –
non che le importasse qualcosa. Non c'era nessuno, se non lei e il
soldato che, dopo averle detto di aspettare lì, la lasciò da sola.
L'attesa non fu lunga, ma fu comunque tormentata. Domande su domande
che non potevano avere risposta.
«TU!»
Una
donna urlò furiosa alle sue spalle. Bastò la voce, solo quella, a
far tremare Enna. La paura si era insinuata sotto alla sua pelle.
Conosceva quella voce. L'aveva sentita parecchie volte nei corridoi.
Quando si voltò Lisbet avanzava verso di lei con un passo goffo,
affrettato, ostacolato dal lungo vestito dorato che stringeva tra le
mani.
«SGUALDRINA!
PUTTANA!»
Enna
rimase immobile e la guardava avanzare sempre più veloce e quando le
sembrò troppo vicina cominciò ad arretrare, ma quella stanza non
offriva vie d'uscita. E poi, in ogni caso, a cosa sarebbero servite?
Non si poteva scappare da quel mondo. Quando la regina fu a pochi
centimetri da lei Enna abbassò il capo in attesa di un'altra serie
di insulti o di percosse. Non l'aveva mai vista così tanto irata.
Vide la mano piccola e bianca di Lisbet afferrare il lembo del suo
vestito, sopra il seno, e da lì tirarla a sé. Sentiva il suo
respiro irregolare accarezzare la sua pelle nuda.
«Tu...
dovresti pregare di poter vivere qui, nel mio regno. Ti ho dato una
casa e ti ho dato un lavoro e tu...» la sua voce adesso era un
sussurro. Un sussurro che le scivolava dentro e che sembrava parlare
ad ogni cellula del suo corpo.
«TU
VUOI ANCHE IL MIO UOMO? INGRATA!»
urlò nuovamente.
Uno
schiaffo colpì con un'inaspettata forza la guancia di Enna che si
ritrovò a piangere. Si tenne in piedi a fatica, semplicemente perché
la regina non accennava ad allentare la prese sul suo vestito. Le
lacrime le bagnarono gli occhi non solo per il dolore, ma per tutte
quelle urla che continuavano a echeggiare dentro di sé.
«GUARDAMI
NEGLI OCCHI MENTRE TI PARLO!»
Con
la mano libera le alzò a forza il mento. Enna non vide il viso della
regina deformato dalla rabbia perché le lacrime le annebbiavano
ancora la vista.
«E
NON PIANGERE. IO NON VOGLIO ACQUA IN QUESTO MALEDETTO MONDO! NON LA
VOGLIO!»
Enna
in quel momento si domandò quanto sottile fosse il confine tra
rabbia e pazzia e si domandò se la regina lo avesse già superato.
«Però...»
tornò a sussurrare inclinando appena il capo di lato.
La
mano si spostò da sotto al mento e andò ad asciugare le lacrime di
Enna. Lentamente smisero di sgorgare, forse impietrite anche loro da
quel contatto.
«I
tuoi occhi, anche senza lacrime, mi ricordano l'acqua... no, non
semplicemente l'acqua. Mi ricordano il mare... no, neanche
semplicemente il mare. Mi ricordano l'oceano. Il grande, sconfinato,
immenso oceano» disse estremamente piano.
Enna
vide quegli occhi, mentre la studiavano, spalancarsi e vide le
labbra, di tanto in tanto, accennare un sorriso per poi tornare a
stringersi e di nuovo distendersi in quello che le sembrò un tic
nervoso. Aveva decisamente oltrepassato il confine.
«Ora
capisco di cosa parlava Lloyd... i tuoi occhi sono incantevoli... ma
rimani una sciacquetta. Una sciacquetta che non si prenderà il mio
uomo... e adesso... verrai con me. Ti darò io un posto dove stare»
concluse e il sorriso sembrò stabilizzarsi sulle sue labbra.
Enna
continuò a guardare dritto avanti a sé anche quando, finalmente, la
regina mollò la presa sul suo vestito e cominciò lentamente a
muoversi per farle strada. Ren le aveva parlato di un posto in cui le
persone venivano rinchiuse per passare lì il resto della loro
vita...
Mosse
i primi passi incerti ed ogni volta che poggiava il piede per terra
doveva concentrarsi per mantenere l'equilibrio. Barcollava. E già
pensava a quella breccia nel muro.
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