venerdì 29 giugno 2012

L'intervista all'ospite de "I caffè culturali"

Ripropongo l'intervista che la redazione de "I caffè culturali" mi ha fatto un po' di tempo fa. Le domande sono stimolanti e mi sentivo abbastanza ispirato per rispondere. 
Per leggere clicca qui

Un estratto:
I Caffè Culturali:     "Ha scritto che sente l'esigenza di intrappolare emozioni: perché? Cosa la spinge a fissare certi momenti attraverso la scrittura?".
Manuel Malavenda:     "E' lo stesso motivo per cui si scatta una fotografia, almeno per me. Se ci troviamo davanti ad un paesaggio meraviglioso, se sta succedendo qualcosa di particolare, o anche semplicemente se c'è qualcosa che non vogliamo dimenticare, allora tiriamo fuori la nostra macchina fotografica e con un click immortaliamo quel momento. Ma un'emozione non è come un bel paesaggio, perché non è qualcosa che si può vedere, ma è qualcosa che si sente, e quindi l'unico modo che conosco per immortalarla è proprio quello di scriverla. Il motivo per cui lo faccio è che essenzialmente noi ci nutriamo proprio di questo: quando, ogni tanto, apriamo il nostro album di fotografie, lo facciamo con l'intenzione di sorridere, provare nostalgia, arrabbiarsi, divertirsi. Spesso si finisce per definire emozionante solo qualcosa che ci porta alle lacrime e io penso che sia sbagliato, perché anche qualcosa che ci fa estremamente divertire è emozionante. Quindi, alla fine, chi è che avrebbe voglia di guardare una fotografia sapendo che non lo farà ridere, piangere, riflettere o divertire? Chi vorrebbe leggere qualcosa sapendo che questo non susciterebbe qualcosa in lui? Nessuno".

martedì 19 giugno 2012

Recensione de "Il bambino che voleva vedere l'alba" su Philomela 997

Vi lascio il link al blog Philomela 997 che ha recensito il mio libro!
CLICCA QUI



Un estratto dall'articolo:
Il giovanissimo autore di questo libro mostra una maturità d’espressione fuori dal comune. In ogni pagina ci s’imbatte in almeno una frase che lascia dolcemente stupiti.
 [...]
Il bambino che voleva vedere l’alba racconta una storia fantastica, semplice ed elegante che rapisce e trascina via con sé, in un mondo magico dall’atmosfera onirica.

lunedì 18 giugno 2012

Intervistato da "Passione Libri"

"Passione libri" ha deciso di aprire proprio con la mia il ciclo di interviste estive!
Vi lascio il link CLICCA QUI e un estratto dall'intervista:

[...] R - Come vivrebbe Mathieu nel delicato momento che stiamo attraversando?
M - Per quanto Mathieu sia cresciuto durante quest’avventura rimane sempre un bambino e probabilmente per lui sarebbe difficile comprendere quanto effettivamente sia delicato questo momento. Ogni giorno ormai si sente parlare di crisi economica, ma un bambino cosa può saperne di queste cose? L’unica cosa di cui potrà accorgersi al massimo è che, a fine mese, avrà qualche giocattolo in meno del solito. A rendere ancora più delicato questo momento nell’ultimo periodo ci ha pensato il terremoto ed anche riguardo a questo credo che un bambino non riesca a dare il giusto peso. Capirebbe sicuramente che è un pericolo nel momento in cui tutto trema, ma alle lunghe forse finirebbe per prenderla come un gioco. Ciò da cui verrebbe più colpito è sicuramente la povertà di fantasia e valori che ultimamente dilaga nella nostra società. Tutta l’avventura che Mathieu vive alla fine non è altro che un lunghissimo viaggio nel mondo della fantasia. Oggi un bambino pretende di avere la sua cameretta sommersa di giochi, videogames e tanto altro, e anche allora sarà comunque annoiato. A volte bisognerebbe pretendere di meno e accontentarsi di più. Riporto qui un pensiero del piccolo Mathieu che si trova all’interno del libro: “E mentre piovevano lacrime dal viso, pensavo che, se per assurdo, tutti avessero un paio di occhi per vedere un po' di fantasia in questo mondo, allora questo mondo sarebbe perfetto.”

Per “povertà di valori” invece potrei fare riferimento ad episodi che, nella mia vita da ragazzo, mi capita di vedere con i miei stessi occhi. Ormai ubriacarsi fino al vomito è diventato una routine e fumarsi una canna per cercare lo sballo è più normale che non farlo. Mathieu è un bambino e ancora queste cose non potrebbe provarle, ma sono sicuro che, conoscendo il valore della vita, non si farebbe mai trasportare dalla massa e mai metterebbe in pericolo la sua salute volontariamente.
Mathieu credo che in un certo senso sia una persona diversa dal solito, un po’ come lo sono io. Spesso le persone come noi rischiano di sentirsi fuori luogo in alcune situazioni, ma non per questo ci facciamo abbattere. Siamo persone un po’ diverse, ma non le uniche. Ce ne sono altre in giro per il mondo, quindi sicuramente prima o poi nella vita arriverà un luogo che sapremo essere nostro. Fino ad allora l’importante è non perdere mai di vista quello che siamo veramente perché finché avremo noi stessi non saremo mai soli veramente. [...]

sabato 9 giugno 2012

Viaggio verso te




Quando mi sveglio le prime luci dell’alba colorano l’orizzonte e si tuffano nell’oceano. La piccola barca su cui mi trovo si lascia trascinare dal  viaggio delle onde che mi sta portando sempre più lontano, verso l’ignoto. Ogni tanto mi guardo indietro e i miei occhi si ancorano a quella sottile striscia di terra in lontananza: qualcosa dentro di me non vuole lasciarmi andare. C’è qualcosa che vuole farmi tornare indietro, ma ormai non posso. Questa barca va e io non ho remi. Non posso oppormi alle correnti dell’oceano, sono troppo potenti per me che sono così piccolo in tutta questa immensità.
Sono giorni che viaggio, ma mi sembra di essere rimasto immobile, in bilico tra la spiaggia e il mare sconfinato. Non è accaduto nulla per giorni. Nessun gabbiano è volato in questo cielo, nessun pesce ha nuotato in questo mare, nessun suono ha sfiorato questo silenzio, nessun odore ha stuzzicato il mio olfatto. Niente di niente.  Adesso, però, qualcosa sta accadendo. E’ ancora debole, ma percepisco qualcosa. Un dolce suono emerge dalle onde che si infrangono contro il legno della barca. E’ un canto, un canto dolcissimo, ed ogni sua nota sembra stringere, come una corda, un nodo intorno al mio corpo e poi con quella stessa corda tirarmi a sé senza che io possa opporre resistenza. Lentamente, cercando di non perdere l’equilibrio, mi alzo e mi affaccio sull’oceano sotto di me. Sembra quasi familiare quel canto… Chi potrei mai conoscere lì, nel bel mezzo del mare? Lontano, su uno scoglio che si staglia scuro contro il cielo, siede una giovane donna. Le sue labbra sono la fonte di un’armoniosa melodia che sgorga da esse come una limpida sorgente. I nostri occhi si sfiorano e lei, come spaventata, balza giù dall’alta roccia, tuffandosi in quelle acque scure. Continuo a guardare quello scoglio, adesso spoglio, immerso nei miei pensieri, quando improvvisamente qualcosa fa barcollare la barca. Preso alla sprovvista perdo l’equilibrio e cado per terra, facendo dondolare sempre più l’imbarcazione sulle onde agitate. Di nuovo mi alzo in piedi e, lentamente, mi sporgo. Quella donna, che era così lontana da me solamente pochi secondi prima, adesso è lì: di fronte a me. I suoi occhi mi guardano, ma non sono occhi che cercano di capire o di scoprire. Sono occhi che già conoscono e che sembrano semplicemente avermi ritrovato. Sprofondo in quello sguardo, non è una caduta che mi fa paura, ma una strada che mi sembra di aver percorso molte volte.
«Come… come hai fatto? Chi sei?» chiedo non appena riesco a liberarmi di quello sguardo incantevole.
«Come ho fatto a fare che cosa?»
«A nuotare così velocemente... poco fa eri su quello scoglio e pochi secondi dopo eccoti qui.»
Lei si limita a sorridere, ma non dice niente. Il suo sorriso è dolce e mi annienta. Non mi interessa se non mi ha risposto, perché in cambio mi ha sorriso. Forse è stato meglio così.
«Sono giorni che ti seguo, sai?» mi dice.
«E’ la prima volta che ti vedo, dove sei stata fino ad adesso?»
«Sono sempre stata dietro di te, ma eri troppo impegnato a viaggiare. Non ti fermavi un attimo. Cercavo di raggiungerti, ma non c’era niente da fare. Ho provato anche ad urlare, ma tu non mi hai sentito. Mi hai fatto sentire sola.»
«Scusa.»
Distolgo il mio sguardo, imbarazzato.
«Non ti devi scusare. Tu non hai fatto niente di male, facevi bene a viaggiare dritto verso la tua meta. Perché adesso ti sei fermato?»
«Perché ho paura. Non so cosa mi succederà. Sulla spiaggia ho lasciato tante di quelle cose e non so se potrò mai vederle di nuovo, toccarle.»
«Non devi avere paura, San. Non importa se non potrai più vederle o toccarle, quello che veramente è importante è che quelle cose si ricordino di te, sempre. Se veramente ti hanno amato, loro aspetteranno. Aspetteranno anche un’eternità intera.»
Come fa quella donna a sapere il mio nome? Lei mi conosce. Anche io sento di conoscerla, perché la sua voce mi fa sentire un morbido calore vicino al cuore. Mi volto e di nuovo guardo quella spiaggia lontana e ci vedo tutte le mie gioie, i miei dolori, i miei scontri, i miei amori: tutta la mia vita. E’ così difficile anche solo spostare lo sguardo e invece devo addirittura trovare la forza di gettarmi nelle braccia di questo oceano misterioso.
«E’ difficile, sai? Io amo tutte le cose che mi sono lasciato alle spalle, e anche se loro rimarranno lì ad aspettarmi, come farò io senza di loro?»
«Non puoi più tornare indietro, San. L’unica speranza che ti rimane è quella di continuare questo viaggio. Nemmeno io so dirti cosa ti aspetterà e nessuno potrà dirtelo, devi solamente provare a lasciarti andare. Rimanere qui a metà non è vivere.»
«No, non lo è.»
La donna non sposta il suo sguardo nemmeno per un attimo. I suoi occhi mi hanno stregato nuovamente e mentre mi perdo nelle sfumature di quel blu, lei mi tende una mano. E’ bianca, piccola e anche se non l’ho ancora toccata so già che è morbida come seta. La guardo per un po’ senza fare niente. La sfioro con le dita e poi la afferro. Ho paura, tremo, ma mi lascio prendere. Lentamente scivolo giù dalla barca e mi lascio stringere da quelle braccia sottili. Non so perché, ma mi ritrovo a piangere.
«Ti porto io, non avere paura. Lasciati andare» mi sussurra lei nell’orecchio.
Mi stringo a lei quasi senza accorgermene. E’ l’unica cosa che conosco in quel mare di cose sconosciute. Anche lei si stringe a me.
«Non tremare. Tornerò su quella spiaggia quando te ne sarai del tutto andato e ti aspetterò, se mi dai qualcosa per cui valga la pena aspettare…» mi sussurra all’orecchio.
All’inizio non capisco, poi sento le sue soffici labbra sfiorare le mie e lentamente appoggiarvisi. Hanno un buon sapore. Timidamente le assaporo. Quel bacio scioglie tutte le mie preoccupazioni, tutte le mie paure congelate. Lacrime e mare si confondono. Non dovrei piangere forse, ma non riesco a farne a meno. Tra le lacrime, i miei occhi scivolano sulle spalle di quella donna e si tuffano sotto la superficie del mare. Non vedo un paio di gambe, ma una lunga coda che fluttua in quelle correnti. Una lunga coda verde: il verde è il mio colore preferito.
Lei si è accorta del mio sguardo attento e mi sorride. Ecco perché ci aveva messo così poco a raggiungere la mia barca da quello scoglio, ed ecco perché lei sarebbe stata capace di guidarmi. Iniziamo a spostarci ed io non lascio la sua mano neanche per un attimo. Il sole si sveglia ed ha quasi scavalcato completamente l’orizzonte: è verso quella luce che mi sto dirigendo. Sono sereno, adesso.

X x x

E’ passata una settimana. Una settimana soltanto. Mi sembra così dura senza di lui, non so come farò. Da sola non sono forte abbastanza per affrontare la vita. La vita è una questione che non si può risolvere senza l’aiuto di nessuno.
Mia madre mi accarezza, ma in questo momento non mi fa sentire meglio. Non basta.
«L’ultima volta che l’hai visto, fuori dal coma intendo, gli hai ricordato quanto lo amavi?» mi chiede. E’ la prima volta che parliamo di San dopo che è morto.
«No, non l’ho fatto. Come potevo immaginare che…?» Le parole hanno smarrito la strada per uscire e rimangono incastrate nella mia gola. Sento il pianto pizzicare i miei occhi ed ogni volta che il mio sguardo incontra quella lapide una lacrima sfugge al mio controllo.
«Non importa, tesoro mio. Lui lo sapeva. Lo sapeva bene.»
«Mentre era in coma, su quel letto di ospedale… gli ho parlato tanto sai? Poco prima che il suo cuore si fermasse gli stavo parlando di una sirena, a lui piacevano tanto.»
Ancora una carezza.
C’è una cosa a cui non riesco a smettere di pensare da quel giorno. Ho come la sensazione che lui mi abbia stretto la mano. Una stretta debole, come una carezza. Un modo come un altro per dirmi: “so che ci sei. Ti  ho sentito”.
Poco dopo è morto.
Mi lascio cadere per terra davanti alla lapide e non solo cedono le ginocchia, ma anche i freni che trattenevano le lacrime. Con una mano cerco di raccoglierle sulla mia guancia prima che cadano per terra. Poi, lentamente, la avvicino al petto dove percepisco un battito stranamente tranquillo.
E’ questo che hai sfiorato veramente con ogni tuo gesto. Il mio cuore.

Il mondo è tondo



Vi racconterò la storia di un mondo lontano anni luce dal nostro, talmente lontano da non appartenere nemmeno alla nostra galassia. Tanto distante, eppure tanto simile. Di diverso dalla nostra Terra c’era poco, se non che il tempo sembrava essersi fermato a qualche secolo prima: le strade d'asfalto dovevano ancora ricoprire il suolo fertile e il fumo nero delle industrie non si era ancora mescolato con il bianco delle nuvole.
Ma ciò che di più strano accadeva era la nascita di persone a metà. Non è che nascessero sempre così, per lo più nascevano persone complete, proprio come noi, ma a volte poteva capitare che il corpo e il cuore prendessero vita in due entità separate. Nascevano insieme, ma divisi, nello stesso preciso istante e nello stesso preciso luogo, eppure erano destinati a consumare la loro esistenza uno al fianco dell'altra per completarsi a vicenda.
Erano due diverse facce della stessa medaglia.
Era un'uggiosa mattina di autunno quando il cuore e il corpo di cui mi accingo a raccontarvi la storia vennero al mondo. Quando per la prima volta schiusero i loro piccoli occhi, si trovavano in una foresta che sembrava dimenticata dal mondo.
Capitò però che il corpo, quella volta, decise di ribellarsi a ciò che a lui pareva un ingiusto destino. Vivere sempre al fianco di un'altra“persona” - se così possiamo definire un individuo a metà – gli sembrava una condanna. Guardò il cuore dritto negli occhi e gli disse che se ne sarebbe andato e mai più si sarebbero rivisti.
- Voglio vivermi la mia vita a modo mio, non voglio essere la tua ombra – disse il corpo furibondo. Era arrabbiato con la vita che gli aveva giocato quello scherzo infame.
Sarebbe stato felice anche senza un cuore e nulla al mondo glielo avrebbe impedito.
Così partì. Viaggiava senza avere una meta precisa. Provò sulla propria pelle il freddo della neve e il caldo del fuoco, l'umido della rugiada sui fili d'erba e l'aridità della terra d'estate, il dolce del miele e il salato del mare.
Quante cose si sarebbe perso a vivere in quella foresta solitaria!
Portava con sé sempre un quadernino e una matita e ogni giorno scriveva quello che aveva scoperto, in modo da non dimenticarselo mai. Alcune delle prime cose che aveva scritto, erano state che il sole illumina e riscalda, che d'autunno cadono le foglie e in primavera sbocciano i fiori.
Non si poteva certo dire che la sua fosse una vita agiata.
Finché il suo aspetto era stato quello di un bambino, era riuscito a sopravvivere con le elemosine, facendo compassione ai cuori più teneri, che vedendolo solitario e povero, gli davano qualche moneta per poter campare, ma crescendo le cose erano cambiate.
Dovette iniziare a lavorare e non appena riusciva a mettere da parte i soldi necessari per la fuga successiva, partiva, se ne andava...
Se la vita lo aveva creato per tenerlo prigioniero, ecco che lui invece voleva sfidarla ed essere libero più di quanto le sue condizioni gli permettessero. Spese tutti i suoi soldi e approdò in terre magnifiche dove percepì nuove sensazioni. Scoprì quanto delicato fosse il petalo di un fiore e quanto pura potesse essere l'aria di montagna, quanto amara potesse essere la birra e quanto dissetante l'acqua dopo lunghe giornate passate sotto il sole cocente. Di nuovo lavorò e accumulò denaro, per poi spenderlo e viaggiare ancora.
Ogni tanto il suo pensiero correva alla parte di sé che aveva lasciato, il cuore, e si immaginava cosa stesse facendo in quel momento. Era sicuro che il cuore era altrettanto felice di non dover passare la vita interamente al suo fianco e che, come lui, aveva provato ad avere una vita normale, come una persona completa.
Aveva iniziato a scrivere su quel quadernino anche piccoli pensieri e riflessioni che tuttavia apparivano sterili e inconcludenti.
Gli anni passavano e il corpo continuava a spostarsi e ogni volta sentiva di dare uno schiaffo al destino che lo aveva fatto nascere a metà. Ogni volta che i suoi piedi calpestavano un suolo nuovo, era più lontano da quella foresta, era più libero... questo era quello che credeva.
Un giorno, infatti, in lontananza cominciò a scorgere una foresta.
Un sottile strato di nebbia la avvolgeva.
Si incamminò verso quella fila d'alberi e per la prima volta provò il gelo nelle ossa, poi continuando ad addentrarsi, si lasciò quella leggera foschia alle spalle.
Più camminava, più aveva la sensazione di conoscere quel posto.
Si ritrovò a pochi metri da un ruscello che scorreva tranquillo davanti ai suoi occhi e, tra lui e quel ruscello, stava accovacciato un uomo, con un logoro mantello a coprirlo. Il corpo si avvicinò a quella figura e, quando quella si voltò, ebbe un tuffo al cuore. Era la prima emozione che provava dopo tanti e tanti anni, e il motivo per cui l'aveva potuta sentire era che il suo cuore era proprio lì davanti a lui.
- Cuo... cuore? - disse il corpo balbettando.
- Finalmente sei tornato – rispose quello scrollando il capo per far cadere il cappuccio e mostrargli il suo delicato sorriso.
– Questo è il luogo in cui siamo nati, allora. Non mi sbagliavo. Che strana coincidenza essere entrambi qui... come hai vissuto la tua vita? – domandò allora il corpo sedendosi al fianco del suo compagno.
– Ho speso la mia vita ad aspettarti. E il fatto di ritrovarci proprio qui non è affatto una coincidenza. Io sono sempre rimasto in questa foresta. Non so cosa si cela al di là di questi alberi e della vita non so niente. Finalmente, però, ora che tu sei tornato, potremo uscire e gustarci il tempo che ci è rimasto – rispose il cuore.
- Tu... non sei mai uscito di qui? Hai sbagliato, mio compagno. Il mondo là fuori è meraviglioso e vale la pena di essere vissuto credimi. Io mi sono ritrovato qui per sbaglio e non ho alcuna intenzione di rimanere con te per sempre. Voglio essere libero -
Il cuore sorrise di nuovo, prima di replicare.
- Oh, tu non ti sei ritrovato affatto qui per sbaglio. Tu hai passato la tua intera vita a fuggire. A fuggire dal tuo destino che ti aveva legato inesorabilmente a me e a fuggire da questa foresta. Ma, hai dimenticato una cosa, purtroppo. Il mondo è tondo e alla fine ti sei ritrovato a rincorrere la cosa da cui stavi disperatamente cercando di fuggire. Ogni volta che facevi un passo lontano da qui, allo stesso tempo ne stavi facendo uno verso di me. Sapevo che un giorno saresti tornato e io sono rimasto qui ad aspettarti. -
– Ma perché, cuore? Perché mi hai aspettato? - chiese il corpo senza capire.
- Perché sarebbe stato inutile andarmene senza te. Tu hai macinato chilometri e chilometri, eppure conosciamo la vita allo stesso modo. Tu conosci senz'altro il calore del fuoco e il freddo del ghiaccio, ma non hai mai conosciuto il calore di un abbraccio e il freddo del terrore. Hai conosciuto l'umido dell'erba, ma non hai mai sentito quello di una lacrima. Che senso ha avuto il tuo vagare se, alla fine, conosci il mondo solo a metà e non ne comprendi la sua infinita bellezza? -
Il corpo non seppe cosa rispondere e rimase in silenzio ad osservare il ruscello che, davanti ai suoi occhi, scivolava verso chissà quale oceano. Poi cominciò a piangere perché si rese conto di quanto vana fosse stata la sua vita fino a quel momento e per la prima volta sentì il calore delle lacrime. Tirò fuori il suo quadernino mentre stava ancora piangendo e strinse la matita tra le dita. Poi, nell'ultima pagina, in bella grafia scrisse: Il mondo è tondo. E' inutile provare a fuggire.
Il cuore si alzò sulle sue deboli gambe e accolse il corpo sotto il suo mantello caldo, ed insieme si incamminarono verso il mondo.
Il cuore per la prima volta scoprì quanto soffice fosse l'erba e quanto fresco il vento che li sospingeva ad uscire da quella foresta. Il corpo, invece, per la prima volta scoprì cos'era veramente la libertà.